Angolo ripiegato:  
IL MIO FESTIVAL FUORI DAL CORO
di Daniela Adamo
 

 

 

 

Da pochi giorni, si è concluso il 56° Festival della canzone italiana di Sanremo
Voglio dire la mia su questo Festival, il mio sarà un Festival fuori dal coro.
Ormai è diventata una moda parlar male di Sanremo. Il Festival fa parlare di sé a prescindere, perché è un’istituzione del nostro Paese. Bisogna comunque commentarlo e criticarlo. Quasi sempre, però, appunto, ci si ferma a dirne male, del presentatore, delle canzoni, degli abiti, delle scene… di tutto quel che ruota intorno all’universo Sanremo. “Che brutto, che noia…”. Questo è lo sport più gradito ai critici musicali e alla gente comune. E ogni anno la musica non cambia, tanto che… mi domando e dico… non sarà che si parla di Sanremo per partito preso? Perché si deve parlà?

Giorgio Panariello con Ilary Blasi e Victoria Cabello

Il fatto è che il Festival è un evento e, in quanto tale, si ripete ogni anno, con le stesse liturgie… le canzoni che, più o meno, un po’ si assomigliano, tranne quei pochi pezzi che escono fuori dal coro, la scala (che sia una scalona o una scaletta…) dalla quale scendono i cosiddetti big in gara, il “signore e signori” del presentatore di turno che non manca di rispettare la classica presentazione dei brani… “Di Tizio e Caio, “L’amore è bello”, dirige l’Orchestra il Maestro Sempronio, canta Mario Rossi”, l’inquadratura sul Maestro appena parte la canzone, le vallette messe lì a far soprattutto da scenografia, la delusione per i brani migliori, sempre esclusi dalla gara. E via via via…
E il fatto è che, in una televisione dove ormai si fa a gara per stupire, per sconvolgere gli schemi, per andare avanti sempre e comunque, anche se spesso andare avanti si rivela un  retrocedere a livelli di bassa lega, il Festival – come evento poco fa descritto – non soddisfa più, perché è ripetitivo, senza colpi di scena e grosse trovate.
La gente genuina, che un tempo s’accontentava e godeva di una manifestazione canora, con le sue canzoni belle e brutte e i suoi crismi, oggi non s’accontenta più perché è stata abituata – purtroppo – a ben altri spettacoli, a ben altri reality e uno spettacolo classico, ben strutturato ma statico nella sua liturgia, sa di antico, sa di stantio, sa di noioso.
Non la penso così.
A me il Festival di Panariello è piaciuto e anche parecchio.
L’ho trovato di un buon livello generale, elegante, asciutto, senza troppi fronzoli, con alcune canzoni di ottimo livello e molte altre sufficienti.
E scendo un po’ nei particolari…
Giorgio Panariello. Dopo il grande successo del precedente Festival di Bonolis, l’attendeva un compito affatto facile. Compito che ha svolto egregiamente, regalando ampio spazio alle sue collaboratrici. Ha fatto il bravo presentatore, come il Festival richiede. Poche battute? Poche gag? Sì, forse avrebbe potuto aggiungere qualche altro momento di risata, ma… magari si sarebbe detto che “Panariello ha fatto il comico, il Festival ha bisogno di un presentatore”…
Ilary Blasi e Victoria Cabello direi promosse con un 8. La prima si è mossa con agio nel suo ruolo, senza prendere papere (e va rilevato…) e regalando grazia. La seconda è stata la rivelazione della manifestazione… “guastatrice” per ruolo, ha dimostrato di saperci fare sulla scena, regalando humour e ironia. Forse… ha avuto anche fin troppo spazio!
Gli ospiti. Nella gran parte italiani e va dato merito a Panariello di aver voluto puntare molto sull’italianità. Ricordo Festival passati nei quali, dopo aver già ascoltato 20 – 30 canzoni in gara, si apriva uno spazio infinito riempito da ospiti stranieri, ai più sconosciuti!!! Che noia mortale…
Indovinatissima, invece, l’idea di puntare su personaggi italiani, per dare ancora più risalto a una manifestazione che italiana è. Di grande classe, ad esempio, il momento regalato da Giancarlo Giannini, che ha intonato “L’uomo in frac”, divertenti e briosi gli interventi di Pieraccioni e Verdone, bella l’interpretazione regalata da Cocciante, grandi emozioni hanno fatto vivere i “commendatori” Bocelli, Ramazzotti e Pausini… Gli unici due ospiti un po’ fuori luogo, Travolta e John Cena… stranieri entrambi.
Le canzoni. Quella che, a mio dire, è emersa su tutte (ma è gusto personale, ovvio), è “L’uomo delle stelle” di Ron. Un capolavoro. Uno di quei brani che nascono ogni vent’anni e rimangono nel tempo. Ma ottime le canzoni presentate da Zarrillo, Luca Dirisio, Nomadi, Povia, Simone Cristicchi, Noa e Carlo Fava, Gigi Finizio e I ragazzi di Scampia. Un buon livello generale, con alcune perle che spiccano su tutte.
E direi di aver passato sotto esame gli ingredienti principali di un Festival, aperto – ad ogni stacco – da una splendida musica composta per l’occasione da Cocciante e costellato, qua e là, dalla presenza di quattro indossatrici, pronte a sfilare con stupendi abiti  delle principali griffes italiane, per la gioia degli occhi, soprattutto maschili. Un Festival rattristato solo dalla
scenografia, ideata da un grande quale Dante Ferretti ma inadatta al Festival, troppo seriosa e triste.
Un Festival che, al contrario di quanto sottolineato da molti, non ci ha fatto fare le ore piccole. Le prime quattro sere ha chiuso intorno all’una ma le canzoni in gara erano terminate intorno a mezzanotte e mezza. Ricordo bene tantissimi Festival, fino a pochi anni or sono, quando alle due s’era ancora in onda, tra ospiti e attesa dei risultati…
Ecco. Detto ciò, aggiungo che il Festival di Panariello ha fatto registrare
ascolti ben più bassi di quello, ad esempio, dell’anno scorso. E’ un dato di fatto.
Il
Festival 2005 (organizzato da Bonolis) – che fece registrare ascolti altissimi - a me è piaciuto tanto, ma diciamo che più che il Festival a me è piaciuto Bonolis, che – in qualsiasi salsa si trovi – è capace di portare a casa una serata mai noiosa, con ritmo, verve, strappandoti la risata come se piovesse. Perché Bonolis è un animale da palcoscenico, uno di quei pochi – insieme, per esempio, a Fiorello – che è sinonimo di garanzia, a prescindere da ciò che faccia. Con questo non voglio dire che Panariello non sia bravo, tutt’altro. Ho imparato ad apprezzare Giorgio sempre più negli ultimi anni. Giorgio non è solo “Mario, il bagnino”, è un ottimo autore di canzoni, è un bravissimo attore anche drammatico. Non è solo il comico anche se facendo il comico si trova forse nei suoi panni ideali. Comunque, non è il classico presentatore, dunque ripeto che a Sanremo ha fatto più che bene. Chi l’ha chiamato sapeva benissimo che Panariello era un comico, un attore prestato al Festival; il Festival, cioè, non sarebbe stato casa sua… come può esserlo invece per Baudo e Bonolis.
Dunque, perché lamentarsi poi?
Perché attribuire a Panariello colpe che proprio non ha? Ha sempre affermato – da prima che il Festival avesse inizio – che il suo sarebbe stato il Festival della canzone, non il Festival di Panariello. E così è stato. Nel senso che non ha dato un’impronta marcatamente propria al Festival, che di impronte deve avere solo quelle musicali. Il Festival 2005 non è stato un po’ troppo il Festival di Bonolis? Oggi, chi ricorda le canzoni di quel Festival? Quante ne sono rimaste? E’ rimasto ben impresso Bonolis, che ha firmato da capo a piedi quel Festival (ma ricordiamo pure le critiche feroci che ebbe, ad esempio, per aver invitato Mike Tyson…).
Dunque, a conti fatti… si è parlato e sempre si parlerà di Sanremo. Ma parlarne tanto perché se ne deve parlare serve veramente a poco.
Quest’anno la moda è stata dare addosso a Panariello. Io lo salvo, con tutto il suo Festival. Perché, ripeto, ha saputo confezionare un Festival giusto, asciutto, senza troppe sbavature. Un Festival che è stato una gara di canzoni, che è poi quel che dovrebbe essere Sanremo.
Se poi ci siamo stancati di vedere questo tipo di Festival, se ci aspettiamo di vedere un Festival che assomigli magari ad un reality, se non ci bastano più le canzoni ma vogliamo una manifestazione fatta anche di ospiti e di scoop, allora diciamo che Sanremo ha fatto il suo tempo e stravolgiamolo completamente.
Ma non sarà più il Festival di Sanremo…

 

 

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