Angolo ripiegato:  
QUANDO LA VITA TI VOLTA LE SPALLE
di Daniela Adamo
 

 

 

 

 

 

In Francia, li chiamano clochard. In Italia, uomini senza fissa dimora o, più comunemente, barboni.

Sono i dimenticati da Dio, gli ultimi della Terra, “gli zeri del mondo” (prendendo a prestito una stupenda canzone di Renato Zero), quelli che hanno perso luce e speranza, quelli che li riconosci dagli occhi vuoti, smarriti… quelli ai quali il destino ha detto no. E’ di loro, della loro triste e disumana condizione, che vogliamo parlare.

I  dimenticati

 

Li vedi aggirarsi

per le strade,

notte o giorno

non fa differenza,

senza chiedersi perché,

senza chiederti perché.

Uno straccio

di lana o cotone

li copre

agli occhi della gente,

unghie bordate di rosso,

piedi affossati in scarpe d’un secolo,

barbe lunghe d’anni,

guance rosse d’alcool,

sguardi allucinati

o che chiedono pietà,

occhi persi nel vuoto.

Se ti fanno paura

non è colpa loro,

il destino

li ha esclusi dalla vita.

Li vedi aggirarsi

per le strade,

raramente

in compagnia d’un cane,

molto spesso

seduti nel sudiciume,

ad aspettare

non si sa che cosa,

ad aspettare

che passi il tempo,

perché per loro

non c’è speranza,

per loro

non c’è domani,

loro

sono i residui dell’umanità,

i dimenticati

da Dio e dal mondo,

nati solo

per espiare colpe

di chissà chi.

 

E se li guardi,

capisci che

anche se non hai niente,

in realtà hai tutto,

hai la speranza,

hai la vita davanti,

loro …..

aspettano sulo ‘a morte!

 

(Daniela Adamo)

 

Qualcuno avrà già storto il naso, qualcuno sarà già passato oltre ma, per quei pochi - speriamo, in questo, di sbagliarci… -  che ancora stanno leggendo, noi andiamo avanti, perché questi disperati meritano attenzione e, soprattutto, amore. Sentir parlare di quelli che stanno molto più indietro di noi, di quelli che non hanno niente, fa ribollire il sangue nelle vene, fa smuovere le coscienze e dunque è prassi consolidata non pensarci, rimuovere l’idea e non fermare l’occhio sul poveretto, che magari, fermo all’angolo della strada, ti guarda senza cercarti niente chiedendoti aiuto solo con gli occhi, senza più speranza.

Tanto si è fatto per evolversi e modernizzarsi ma ora si è arrivati al punto in cui questa Società, ormai del tutto computerizzata e internettizzata, che bada solo al nuovo modello del telefonino, a navigare in Internet, a corrispondere via e-mail, ha prodotto e produce aridità, indifferenza, perdita dei rapporti umani, del contatto con la realtà…

Vogliamo raccontarvi la storia di colui che chiameremo, giusto per identificarlo, Roberto. E’ il nostro “barbone”, quello che occupa un posto fisso nel nostro cuore. Da più di un anno, Roberto vive sul marciapiede a tre metri dal nostro palazzo - Napoli, zona Soccavo - seduto sul gradino accanto all’entrata del Supermercato. Strada centrale - via Garzilli - costantemente trafficata e percorsa da pedoni, gente della zona (e non) che passeggia o va a far la spesa al frequentatissimo Market.

Roberto avrà sui 50 anni; per essere un vagabondo è quasi sempre in condizioni accettabili, non dà fastidio a nessuno, mantiene il suo posto (la sua casa… due - tre valige arrangiate alla meglio, qualche scatola, un ombrello) sempre pulito, anzi l’ha anche adornato con un paio di piantine. E’ una persona discreta, educata; dal suo comportamento si capisce che non è nato barbone, lo è diventato. Ha raccontato a qualcuno che “prima” era un medico legale. Credergli? Certo, spesso vaneggia un po’, ma chi, nelle sue condizioni, la testa non la perderebbe del tutto? Di certo, lavorava ed era una persona per bene, poi… Roberto non conosce Domeniche, Natali, Pasque, giorni di pioggia, giorni di afa opprimente. La sua vita è, indistintamente, il marciapiedi di via Garzilli. Arriva appena spunta l’alba, se ne va passata abbondantemente la mezzanotte, d’estate anche verso le due, le tre di mattina. Dove va, è un mistero, sicuramente ad occupare un altro marciapiedi, magari al coperto. I primi tempi che Roberto arrivò, fu notato con lo stupore che fa seguito ad una novità; non si riflettè comunque troppo su di lui perché, si pensò… sarà di passaggio, rimarrà qualche giorno, poi andrà via. Invece, i giorni si assommavano fino a diventare mesi, mesi che hanno dato vita a un anno, anno che sta sommando giorni e mesi…Roberto è sempre lì, bagnato, sudato, malato, disperatamente solo, quella è la sua casa. I primi tempi, qualcuno si fermava a parlare con lui, qualche massaia gli portava un piatto caldo, faceva ancora pena…

Ora Roberto vive dell’elemosina della gente, che raramente chiede, vergognandosi come un ladro. Se entra in un negozio, è per comprare qualcosa, non per chiederla in regalo. Se va in un bar a prendersi un caffè, lo paga. Si nutre quasi sempre di freddi legumi in scatola, senza distinguere colazione, pranzo e cena. Oggi quasi nessuno fa più caso a lui. E’ normale che stia lì, anche perché, dicevamo, la sua è una presenza tranquilla, non disturbatrice.  Siamo certi che se fosse stato tipo da arrecare disturbo alla gente, alla quiete pubblica, si sarebbe smosso il mondo per mandarlo via! Va anche sottolineato, invece, che il poveretto, soprattutto nelle calde sere e notti estive, è zimbello di giovinastri senza cervello, senza anima, senza il diritto di essere chiamati “persone”, che gli passano davanti, rombando in motorino, sbeffeggiandolo, deridendolo, colpendolo con palloni o quant’altro hanno alla loro portata, per affermare il senso di onnipotenza intrinseco in loro, mentre loro… solo per come si comportano, sono in realtà meno di niente. Colpa certamente, questa, da attribuire ai genitori, ma se sfondassimo questo muro perderemmo di vista l’argomento in questione… L’unica arma di difesa di Roberto è la voce, che usa urlando a squarciagola e appellando i balordi con i peggiori epiteti, forse anche per attirare l’attenzione, ma quel che ne ricava è solo qualcuno che s’affaccia al balcone per vedere cosa succede, prima di andare a dormire.

Ci chiedevamo, continuiamo a chiederci, come sia possibile che si sia fatta l’abitudine a Roberto… perché proprio questo è successo! Roberto dovrebbe essere, perlomeno per tutti quelli che lo conoscono, un pensiero fisso ogni volta che si va a comprare il pane, quando ci si va a prendere un caffè al bar, quando si va ad acquistare il regalino per l’amica, sempre! La sua immagine dovrebbe essere davanti ai nostri occhi tutte le volte che ci sediamo a tavola a mangiare anche un solo boccone, quando, nelle nostre case, ci scambiamo gli auguri di Natale e Pasqua, sempre! Ma ci pensiamo alla disgraziata vita di quest’uomo?! Alle sue ossa rotte, perché chissà da quanto tempo non dormirà in un letto?… Al suo mangiare freddo, crudo, senza un pizzico d’amore!... A quando sta male e non può rifugiarsi nel calore di una casa!… Ci chiediamo sempre - e il pensiero ci sconvolge - …dove va quest’uomo quando –perdonate la crudeltà! - deve fare i propri bisogni! E una doccia, dove, quando se la fa?  Una camicia di ricambio chi gliela dà? Ci pensiamo mai che Roberto non ha niente di tutto ciò che abbiamo noi, persone civili? Tutto ciò che per noi è normale, per lui è un privilegio! Quest’uomo non può mai poggiare la testa sul cuscino, per riposare! E noi come possiamo addormentarci, far sopire le nostre coscienze?! No, per carità, non ci si difende dietro la storia che di Roberto è pieno il mondo e noi, da soli, non possiamo far nulla! E’ vero, la storia di Roberto è solo un esempio, avremmo potuto raccontare quella di Antonio, di Elvira, di Ciro, di Maria… ma se ognuno di noi facesse una piccola cosa  per il “suo” Roberto, forse la vita di questi disgraziati sarebbe un po’ più leggera, meno drammatica. Se si facesse un piccolo sforzo per superare la paura (si, normalmente avvicinare gli “ultimi” fa paura, mentre spesso, ironia della sorte, sono proprio loro, abituati ad avere per compagnia la più triste solitudine, ad avere timore  di chi li avvicina!), per essere meno superficiali, forse di Roberto ce ne sarebbe qualcuno in meno. 

Se a qualche mamma venisse in mente più spesso di regalare a Roberto un piatto caldo… se i negozianti della zona (principalmente quelli di generi alimentari) regalassero ogni giorno un prodotto – uno solo, certamente non li manderebbe in rovina! – a Roberto… se chi gli passa davanti gli donasse cento lire – abbiamo detto cento lire! – al giorno… se qualche buona famiglia della zona offrisse un pranzo a Roberto a casa propria, anche solo una volta al mese… se qualche negoziante che ha locali ampi o qualche circolo del quartiere decidesse di offrire riparo a Roberto, ad esempio, quando piove… se poi si superasse solo per un attimo quel non guardarsi in faccia tanto di moda oggi (frutto di una comunità senza più volto) e si decidesse – non una persona sola ma tante, tutte insieme! - di fare qualcosa di più concreto per Roberto, per offrirgli un riparo almeno per la notte, ponendo il suo caso all’attenzione di assistenti sociali, comunità, centri di accoglienza… se solo si decidesse di occuparsi seriamente di lui… allora sì, si potrebbe davvero far pace con la propria coscienza!

Davanti a casi come quello di Roberto, non ci si può trincerare dietro la noncuranza e l’indifferenza, non si può fare in modo che il suo “caso”, che lui… divenga consuetudine, che lo si inserisca nel tran tran quotidiano. Il male di oggi è proprio il guardare in un’unica direzione, l’impoverimento dello spirito, il fare l’abitudine a tutto e questo deve far paura, terrore! Vogliamo farvi riflettere solo un minuto ancora… Avete mai pensato, anche distrattamente, che al posto di Roberto potreste, un giorno, trovarvi voi? Noi ci abbiamo pensato – ci pensiamo spesso – ed è proprio per questo che Roberto ci sta tanto a cuore. Meglio non sentirsi onnipotenti, al di fuori da certe cose. Non si è immuni proprio da niente! La vita può cambiare all’improvviso, per tutti, senza dare troppi preavvisi. Dunque, se ogni sera, prima di regalarci il sonno, pensassimo solo per un momento a queste cose, tristi ma da non sottovalutare, forse diverrebbe assai più difficile abituarsi a Roberto.

 

Pubblicato nel mese di Settembre/Ottobre  2000 sul mensile “Proposte di classe”

  

 

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