Doppia parentesi graffa: L’ INTOLLERANZA ALIMENTARE: c’è… ma non si vede!!
del dottor Daniele Troise

 

 

 

Il titolo scelto per l’argomento trattato non è casuale, ma ha lo scopo di riassumere, senza la presunzione di dare una soluzione definitiva, l’accesa diatriba esistente nella comunità scientifica, tra i fautori delle intolleranze alimentari e coloro che, nella maggioranza dei casi, ne negano l’esistenza. Innanzitutto bisogna fare una netta

distinzione tra intolleranze ed allergie alimentari:

- allergie alimentari: sono quasi immediate, si manifestano dopo 2 – 8 ore dall’assunzione anche di piccole quantità dell’alimento responsabile e scompaiono nel giro di ore o giorni. Sono dovute alla produzione di anticorpi “Ig E” e si manifestano sottoforma di reazioni piuttosto “violente” che vanno dalle eruzioni cutanee, all’edema delle labbra o della glottide con sensazione di soffocamento, fino allo shock anafilattico;

- intolleranze alimentari: sono sempre dose – dipendenti e sono determinate da specifiche molecole presenti negli alimenti, che per alcuni individui (definiti “intolleranti” verso i suddetti alimenti) risultano essere tossiche. I sintomi possono essere i più svariati: dai disturbi gastrointestinali (stipsi, diarrea, sindrome del colon irritabile, nausea, ecc…) alle congiuntiviti, dalla cefalea all’emicrania, alla stanchezza, ai disordini del peso corporeo, sia in eccesso che in difetto.

Le intolleranze alimentari che mettono tutti d’accordo, ossia che sono ufficialmente accettate anche dal mondo scientifico, sono quelle relative al latte (in particolare al lattosio ed alle proteine del latte), al glutine (vedi celiachia) ed al fruttosio.

Torniamo però alle origini… perchè le intolleranze alimentari o, che dir si voglia, le reazioni avverse ai più disparati alimenti, sono in costante aumento?
La risposta, molto probabilmente, è da ricercare nell’enorme evoluzione in campo alimentare che ci ha accompagnato negli ultimi decenni, soprattutto nel mondo occidentale. Basti pensare alla diffusione dei fast-foods e alla globalizzazione che ha invaso prepotentemente le nostre tavole: ma questa è solo la punta dell’iceberg. La crescita esponenziale della popolazione mondiale ha fatto sì che il piccolo produttore venisse tagliato fuori dal mercato alimentare a favore delle grosse multinazionali, intente a produrre ed a conservare sempre di più gli alimenti. E’ nata così l’esigenza di creare alimenti sempre più resistenti alle condizioni climatiche avverse e ai parassiti e sempre più appetibili sia nel gusto che nell’aspetto, per soddisfare qualità e quantità. Il risultato di tutto ciò sono gli alimenti “geneticamente modificati”, gli alimenti ricchi di coloranti, conservanti, fitofarmaci, antiparassitari, esaltatori del sapore e chi più ne ha più ne metta!
L’organismo umano, però, non si è evoluto di pari passo: in misura variabile tutti paghiamo le conseguenze del “progresso alimentare”. Il fatto che il nostro organismo in alcuni casi reagisca in maniera più o meno evidente alle “nuove sostanze alimentari” considerandole sostanze estranee e addirittura nocive, può essere molto evidente nei soggetti celiaci.
Essi sono intolleranti al glutine, una proteina contenuta in alcuni cereali (grano,

farro, segale, orzo, avena, ecc.) e manifestano in modo palese la loro avversione, con reazioni gravi, tali da provocare danni consistenti all’organismo, quando il glutine viene introdotto in esso con la dieta. Anche in questo caso l’evoluzione ed il progresso alimentare hanno giocato un ruolo determinante se si considera il fatto che per millenni l’uomo viveva di caccia, pesca e raccolta di frutta e verdura e non era solito, quindi, utilizzare il grano per alimentarsi. Tale abitudine, infatti, si è radicata grazie all’industrializzazione, ma non tutti gli organismi umani sono riusciti ad adattarsi a questa “nuova” proteina e quelli che non ci sono riusciti, oggi sono definiti “celiaci”.
Un altro fattore importante che sicuramente contribuisce alla formazione di un organismo umano sempre meno resistente agli agenti esterni, è rappresentato dalla minor frequenza con cui si allatta al seno; i primi mesi di vita, infatti, sono quelli nei quali si sviluppa e diventa funzionale l’apparato gastrointestinale. Se il latte materno è sostituito prematuramente o da subito con latte vaccino o di altra provenienza, si possono creare i presupposti affinché il neonato diventi più sensibile nei confronti di alcuni alimenti.
Alla luce di tutto questo, non possiamo puntare il dito contro coloro che hanno cercato di racchiudere tutti i fenomeni di reazioni avverse (spiegabili più o meno scientificamente), che accompagnano l’introduzione dei più svariati alimenti (e non!) nel nostro organismo, sotto il nome di “intolleranze alimentari”. I test attualmente in commercio per valutare la presenza di un’eventuale intolleranza alimentare sono molteplici: si va da quelli di misurazione della tensione muscolare (Metodo Kinesiologico, Ring test, DRIA test, ecc.) a quelli che prevedono l’utilizzo di una piccola corrente elettrica che attraversa il corpo (test EAV, VEGA test, ecc.) o l’utilizzo di un campione di sangue per valutare modificazioni, a carico dei leucociti (test citotossici) o la presenza di anticorpi di tipo “Ig G” (test immunoenzimetrici); tuttavia la loro affidabilità è molto discutibile in quanto, in alcuni casi è determinante la bravura dell’operatore che interpreta i risultati, in altri si ha una sovrastima per cui si risulta intolleranti a più alimenti.
Possiamo quindi concludere che è auspicabile il prosieguo delle ricerche volte al perfezionamento dei test, in modo da renderli efficienti nell’individuazione di molecole specifiche, presenti negli alimenti, responsabili dell’insorgenza delle intolleranze, piuttosto che degli alimenti in toto.
Nel frattempo però, l’unico rimedio, con tutti i suoi limiti finora evidenziati, è quello di procedere all’esclusione dell’alimento incriminato, nei modi e nei tempi dettati dagli operatori nel settore.

 

 

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